In Italia un Comune al mese viene sciolto per mafia da 34 anni. Ma dietro questa media nazionale, che già da sola fotografa un’emergenza democratica, c’è una verità ancora più dura: la Sicilia è uno dei tre epicentri strutturali delle infiltrazioni mafiose nelle istituzioni locali, accanto a Calabria e Campania.
Nel nuovo dossier Il male in Comune, Avviso Pubblico certifica un quadro che dovrebbe preoccupare soprattutto chi amministra quest’Isola: quasi il 30% degli scioglimenti totali riguarda direttamente il nostro territorio.
La mappa siciliana: Palermo, Catania e il rischio di normalità
Sono Palermo e Catania le province che, insieme, concentrano la maggior parte dei provvedimenti dissolutori emanati dal 1991. La provincia di Palermo figura stabilmente nella “top five” nazionale per numero di scioglimenti, insieme a Reggio Calabria, Napoli, Caserta e Vibo Valentia.
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Un dato che pesa come un macigno: la presenza mafiosa non si limita a piccoli centri periferici, ma attraversa trasversalmente territori urbani, aree metropolitane ad alta densità criminale, zone di espansione edilizia e comuni dell’hinterland che negli ultimi vent’anni hanno vissuto boom immobiliari, aumento dei servizi e crescente pressione sugli uffici tecnici.
Gli ultimi casi: il segnale da non ignorare
Tra ottobre 2023 e settembre 2025, la Sicilia registra due nuovi scioglimenti: Randazzo e Tremestieri Etneo, entrambi in provincia di Catania.
Non è solo un dato amministrativo: è il sintomo di una pressione costante sulle istituzioni locali, che si manifesta soprattutto in tre fasi:
- la costruzione del consenso: appoggi elettorali, liste civetta, voti orientati;
- la gestione degli uffici: urbanistica e Lavori pubblici, i settori dove si concentrano affidamenti diretti e pressioni;
- il controllo delle risorse: appalti, servizi pubblici e beni confiscati.
Quest’ultimo punto è quello più drammaticamente attuale: il presidente dell’ANAC Giuseppe Busia ricorda nel dossier che proprio in Sicilia — regione simbolo della legislazione antimafia — alcune cosche sono tornate a mettere mano sui beni sottratti, minando così il valore stesso della confisca come strumento di riscatto sociale.
La Sicilia dei piccoli Comuni: dove si vince con poche centinaia di voti
Come nel resto del Mezzogiorno, anche in Sicilia il 72% degli enti sciolti aveva meno di 20mila abitanti, e oltre metà sotto i 10mila.
In questi contesti:
- un giro di parentela può orientare una lista;
- un comitato elettorale può diventare lo strumento di un clan;
- l’apparato burocratico è spesso troppo esile per resistere alle pressioni.
Un’amministrazione si condiziona non solo con minacce, ma con contiguità “soggiacenti”, come le definiscono i TAR nelle sentenze richiamate nel dossier: funzionari impreparati, dirigenti deboli, assessori che “non vedono” e non intervengono.
L’ombra lunga degli scioglimenti plurimi
Il dossier certifica un fenomeno che in Sicilia è ben noto: gli scioglimenti multipli. A livello nazionale sono 83 gli enti colpiti più volte, e l’Isola contribuisce in maniera significativa a questa statistica.
Secondo Avviso Pubblico, il motivo è chiaro: le amministrazioni cambiano, gli uffici restano.
E nelle stanze dove si decide chi lavora, chi ottiene un permesso, chi riceve un affidamento, si annidano le continuità che permettono alle mafie di restare operative anche senza sparare un colpo.
Quando la trasparenza si ferma in superficie
Il dossier denuncia una situazione che riguarda anche la Sicilia: in molti enti sciolti, la trasparenza non migliora neppure sotto commissariamento.
Regolamenti mai approvati, albo pretorio lacunoso, affidamenti diretti ripetuti senza rotazione: non si tratta di “errori tecnici”, ma di segnali di una cattiva amministrazione che diventa condizione ideale per l’infiltrazione criminale.
Il vero nodo: meno candidati, più potere ai clan
C’è un dato politico che dovrebbe essere discusso nelle stanze dei partiti siciliani: nei Comuni più esposti, trovare candidati disposti a mettersi in lista è sempre più difficile.
La combinazione tra:
- astensionismo crescente,
- rinuncia alla candidatura in contesti considerati “a rischio”,
- indebolimento dei partiti sui territori,
apre spazi enormi per chi, invece, ha tutto l’interesse a occupare posti chiave nei consigli comunali.
La riforma che la Sicilia aspetta da trent’anni
Avviso Pubblico lo dice chiaramente: la Sicilia è tra le regioni che avrebbero più da guadagnare da una riforma della legge 164/1991.
Le criticità che emergono dal dossier — scioglimenti ripetuti, debolezza degli apparati, inefficacia del commissariamento — sono particolarmente evidenti nell’Isola, dove la gestione dei beni confiscati, l’urbanistica e i servizi pubblici rappresentano il cuore degli interessi mafiosi.
Una “terza via”, che eviti lo scioglimento nei casi meno gravi ma obblighi gli enti a percorsi di risanamento stringenti, è una delle proposte più concrete sul tavolo.
Conclusione – Una democrazia a rischio quotidiano
La Sicilia è la terra che ha generato Falcone e Borsellino, ma è anche la regione dove la mafia continua a trovare varchi nell’amministrazione locale.
Gli scioglimenti sono la punta dell’iceberg di una battaglia che si combatte nei consigli comunali, negli uffici tecnici, nei comandi di polizia municipale, nelle partecipate e nelle gare d’appalto.
Il dossier Il male in Comune racconta una verità che riguarda tutti: la mafia non tenta più di abbattere lo Stato; tenta di entrarci.
E in Sicilia, più che altrove, ci sta riuscendo.
