La cartina dell’energia in Sicilia racconta una storia di grandi ambizioni e di ostacoli altrettanto grandi. L’isola che dovrebbe diventare il “laboratorio della transizione mediterranea”, tra bioraffinerie avanzate, riciclo chimico dei rifiuti, idrogeno verde e nuovi impianti rinnovabili, è anche il territorio dove l’innovazione corre più lenta. E dove ogni passo in avanti si scontra con lacune normative, conflitti tra enti, pareri discordanti, ricorsi ai tribunali e un clima sociale spesso alimentato da disinformazione e fake news.
Per capire perché la Sicilia sia allo stesso tempo un’avanguardia e un caso emblematico dei ritardi italiani, bisogna guardare dentro i suoi poli energetici più strategici.
Gela: la bioraffineria corre, il distretto circolare resta al palo
È la punta più avanzata della transizione siciliana: la bioraffineria Enilive ha chiuso il 2024 lavorando 453 mila tonnellate di biomasse, e dal gennaio 2025 produce fino a 400 mila tonnellate l’anno di carburanti sostenibili per l’aviazione. Una cifra enorme: quasi un terzo della domanda stimata in Europa con l’entrata in vigore delle nuove norme sui carburanti green.
Accanto a Gela, però, c’è un progetto che fotografa bene la dicotomia siciliana. Il Distretto Circolare — un impianto per trasformare 400 mila tonnellate di rifiuti in metanolo e idrogeno circolare — ha un modello industriale chiaro, un investimento pronto, tecnologie già utilizzate all’estero. Ma l’iter regionale, tra ricorsi, richieste di chiarimenti, opposizioni locali e tempi amministrativi dilatati, è ancora “non concluso”. E senza una strategia regionale sui rifiuti coerente, rischia di restare un’idea sulla carta.
Priolo–Augusta–Melilli: il gigante tra due mondi
È qui che la transizione si misura davvero. Il polo siracusano è uno dei più grandi sistemi industriali d’Europa: ISAB, la raffineria che vale da sola il 20% della capacità nazionale, attraversa una fase complessa sul fronte societario e finanziario.
Accanto, la centrale B2G fornisce 2,5 TWh l’anno di elettricità, oltre a milioni di tonnellate di vapore e acqua demineralizzata per alimentare le industrie dell’area.
Eni ha annunciato nel 2025 la trasformazione di parte del sito in una nuova bioraffineria da 500 mila tonnellate di carburanti green: un progetto che potrebbe cambiare il profilo emissivo di tutto il comprensorio.
Ma qui la transizione si scontra con due muri:
- il costo dell’energia, tra i più alti d’Europa, e un peso dell’ETS stimato in 250 milioni l’anno solo per il polo siracusano;
- l’incertezza normativa, tra ricorsi incrociati, ritardi nel PEARS e una legge sulle “aree idonee” che non esiste ancora.
Il risultato è un limbo: i progetti avanzano, ma a passo troppo lento per un settore che compete su scala globale.
Milazzo: modernizzazione silenziosa ma essenziale
La Raffineria di Milazzo (RAM), terza in Italia per capacità effettiva, lavora più di 10 milioni di tonnellate l’anno di greggio e dà lavoro a centinaia di addetti diretti e nell’indotto. Qui la transizione non passa dalla riconversione integrale, ma da una strategia “chirurgica”: più efficienza energetica, digitalizzazione dei processi, recupero di idrogeno dai gas di processo e un maggiore uso di bio-componenti.
Una strada pragmatica. Ma anche qui pesa la lentezza delle progettazioni integrate con l’area circostante — in particolare con San Filippo del Mela — che potrebbe dare vita a un vero distretto di economia circolare. Potrebbe, appunto.
San Filippo del Mela: il nodo più critico
È forse il caso che più di ogni altro mostra perché la Sicilia sia un laboratorio della transizione… ma anche del suo fallimento potenziale.
La centrale A2A di San Filippo, 960 MW, per il 2025 è stata dichiarata “impianto essenziale” da ARERA: senza di essa, la rete siciliana rischierebbe squilibri.
Ma il progetto di trasformarla in polo multi-energia — impianto FORSU per il biometano, nuovo CSS per i rifiuti non riciclabili, nuovi sistemi di generazione più efficienti — fatica a decollare.
Il Dipartimento Energia regionale nel febbraio 2025 ha concesso una nuova proroga dell’inizio dei lavori, segno che la macchina è ancora ferma.
Nel frattempo, oltre 300 lavoratori tra diretti e indotto vivono in una condizione di incertezza.
In un territorio segnato per decenni dall’inquinamento della Valle del Mela, qualunque progetto viene accolto con sospetto — spesso legittimo, ma talvolta alimentato da allarmi infondati.
La Sicilia dove tutto si blocca: norme annullate, piani rivisti, rinnovabili al rallentatore
La transizione va lenta perché il contesto amministrativo è lento. I numeri parlano chiaro:
- Tra 2021 e 2024 la Sicilia ha installato 1.778 MW di rinnovabili a fronte degli oltre 10.485 MW che dovrebbe attivare entro il 2030.
- A questo ritmo, l’isola raggiungerebbe l’obiettivo con più di un decennio di ritardo.
Le cause sono note:
- Iter autorizzativi eccessivamente lunghi.
- Conflitti tra assessorati (come nel caso dei parchi eolici bloccati dalla richiesta di proprietà dei terreni “sorvolati”).
- Il PEARS annullato nel 2025 dal CGA per l’illegittimità di un solo paragrafo.
- Vuoto normativo sulle aree idonee, che frena i developer e alimenta incertezza.
È il paradosso siciliano: un potenziale enorme che incontra ostacoli per lo più auto-prodotti.
Il ruolo velenoso della disinformazione: dalla “pala killer” al “micro-inceneritore nascosto”
Il rallentamento della transizione non è solo burocratico. È anche culturale.
Nella Sicilia dei social e dei gruppi Telegram, un impianto eolico diventa un pericolo per la salute, un biodigestore una “bomba tossica”, un parco fotovoltaico un “impianto radioattivo di nuova generazione”, un CSS un “inceneritore camuffato”.
Dossier recenti, campagne di debunking e articoli di giornale hanno elencato vere e proprie bufale che circolano nei dibattiti locali:
- le turbine eoliche “emettono radiazioni” e “alterano il clima”;
- i termovalorizzatori “emettono più sostanze tossiche di una discarica”;
- gli impianti FORSU “diffondono agenti patogeni nell’aria”;
- l’idrogeno sarebbe “sempre esplosivo”, anche negli impianti industriali progettati con standard di sicurezza molto superiori a quelli del gas naturale.
Queste narrazioni, spesso costruite senza nessuna base tecnica, influenzano l’opinione pubblica e mettono pressione sui sindaci e sulle amministrazioni locali. Così, progetti già valutati positivamente dagli enti tecnici vengono sospesi o rinviati.
Il risultato?
Una transizione che non riesce a dimostrare i propri benefici perché non riesce nemmeno a partire.
Eppure la Sicilia resta il terreno dove tutto può accadere
I grandi progetti ci sono, gli investimenti anche:
- la seconda bioraffineria siciliana di Priolo, con Eni pronta a investire 900 milioni;
- il distretto waste-to-methanol di Gela, già ingegnerizzato;
- gli impianti di NextChem a Catania, nuova “testa pensante” della transizione nel Mediterraneo;
- la necessità di affrontare la crisi strutturale delle aree industriali storiche con soluzioni tecnologiche avanzate;
- il nodo strategico dei porti siciliani per carburanti green e idrogeno.
La Sicilia può davvero essere il laboratorio europeo della transizione energetica.
Ma perché ciò accada, servono tre cose:
- Regole chiare e in tempi rapidi.
- Verifica rigorosa dei dati, per distinguere progetti validi da quelli improvvisati.
- Comunicazione scientifica e trasparente, per smontare fake news e dare ai cittadini gli strumenti per valutare.
Perché senza un’opinione pubblica informata — e senza una politica capace di assumersi la responsabilità delle decisioni — la transizione rischia di trasformarsi in una lunga lista di occasioni mancate.
E la Sicilia, da laboratorio del futuro, rischia di restare l’ennesima cattedrale nel deserto della transizione italiana.
