Rende (6 dicembre 2025) – Un delitto che non appartiene solo alla storia siciliana o alla cronaca nera della Prima Repubblica, ma che si colloca nel cuore della crisi dello Stato tra il 1979 e il 1982. È questa la tesi al centro della lezione di Miguel Gotor, storico e docente dell’Università Tor Vergata, intervenuto al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri, con una relazione dal titolo: “Delitto di Piersanti Mattarella. Stato e antistato nella crisi della Repubblica”.
Mattarella come “moderno martire politico”
Gotor ha spiegato di avere scelto di analizzare la figura di Piersanti Mattarella per il suo interesse storiografico verso il martirio come testimonianza di verità. Mattarella, ha detto, è un «moderno martire politico», un uomo che ha incarnato un’idea altra di Sicilia e di politica, e il cui assassinio, ancora oggi oggetto di indagini della magistratura, permette di riflettere sul rapporto tra il lavoro dello storico e quello del giudice.
Secondo Gotor, il presidente della Regione Siciliana era l’erede politico di Aldo Moro. Dopo l’eliminazione del leader democristiano nel 1978, l’Italia vive tre anni segnati da una catena di omicidi politici: Carmine Pecorelli, Giorgio Ambrosoli, Antonio Varisco, Enrico Galvaligi, Walter Tobagi, fino a Carlo Alberto Dalla Chiesa. Un elenco che testimonia l’esistenza di un attacco sistematico alla classe dirigente della Repubblica.
Il congresso DC del 1980 e la fine dell’ipotesi di alleanza con il PCI
Gotor lega l’omicidio Mattarella anche agli equilibri interni alla Democrazia Cristiana. Al congresso del dicembre 1980, molti prevedevano l’elezione di Mattarella a vicesegretario e un cambio di fase nei rapporti con il Partito Comunista Italiano. Il congresso, invece, si chiuse con la vittoria della corrente del preambolo, che escludeva qualsiasi collaborazione con il PCI e apriva a un rapporto privilegiato con il Partito Socialista di Bettino Craxi.
Secondo Gotor, questa svolta politica non può essere isolata dai precedenti omicidi di Piersanti Mattarella e Vittorio Bachelet (ucciso nel febbraio 1980), che rappresentavano rispettivamente l’erede politico e l’erede istituzionale di Moro. Delitti che avrebbero agito come una minaccia rivolta alla classe dirigente democristiana per impedire la prosecuzione della strategia di solidarietà nazionale.
Un presidente che sfidò apertamente Cosa Nostra
Nel ricostruire l’azione di governo di Mattarella (1978-1980), Gotor lo descrive come un politico capace, rigoroso e carismatico, deciso a trasformare la Sicilia in una regione “dalle carte in regola”. La sua amministrazione si fondava su un’alleanza tra DC e PCI, un fatto già di per sé innovativo e mal digerito da più fronti.
Mattarella avviò una lotta frontale contro Cosa Nostra, colpendo sia la fazione dei Corleonesi (Liggio, Riina, Provenzano) sia quella dei Palermitani (Bontade, Inzerillo, Spatola). Tra le sue iniziative più rilevanti:
- rifiuto di sanare gli abusi edilizi;
- legge che trasferiva ai costruttori gli oneri di urbanizzazione;
- rotazione obbligatoria dei collaudatori per evitare intrecci opachi tra politica e mafia;
- blocco e rifacimento della gara d’appalto per sei scuole, del valore di quasi 6 miliardi di lire, dopo aver scoperto un cartello mafioso.
A queste scelte seguirono minacce, lettere anonime e telefonate, inclusa una, particolarmente inquietante, ricevuta il 16 marzo 1978 — giorno del sequestro Moro — su una linea riservata, nella quale si annunciava che Mattarella avrebbe fatto la stessa fine del leader democristiano.
Mandanti condannati, esecutori ancora oggetto di indagine
Per il delitto sono stati condannati come mandanti i vertici dei Corleonesi. Accusati come esecutori materiali furono inizialmente i neofascisti Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, poi assolti con sentenze definitive. I due sono stati comunque condannati all’ergastolo per la strage di Bologna e altri omicidi.
Oggi l’indagine sugli esecutori materiali si è riaperta: la Procura di Palermo ha iscritto nel registro degli indagati i boss Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese.
Dal delitto Mattarella alla guerra di mafia
Nella lettura di Gotor, l’omicidio del presidente siciliano fu il detonatore della guerra di mafia del 1980-1981, conflitto che provocò centinaia di morti e vide infine la vittoria dei Corleonesi.
Il quadro internazionale: missili Cruise, Ustica, Bologna, Malta e la crisi con la Libia
La lezione si è poi spostata sul piano internazionale. Per comprendere appieno il delitto Mattarella — sostiene Gotor — occorre inserirlo nella cornice geopolitica del Mediterraneo tra il 1979 e il 1981, una fase di altissima tensione.
I punti chiave richiamati dallo storico:
- Dicembre 1979: la NATO decide l’installazione in Sicilia di 120 missili Cruise, aprendo una crisi profonda con la Libia di Gheddafi, entrata nel 1976 nel capitale Fiat e allineata al blocco sovietico.
- Questione maltese (1979-1980): Gheddafi rivendica Malta e il controllo delle risorse energetiche; l’Italia, per conto degli Stati Uniti, contrasta le ambizioni libiche. Il 2 agosto 1980, giorno della strage di Bologna, Giuseppe Zamberletti firma gli accordi che porteranno Malta nella sfera occidentale. Nelle sue memorie, Zamberletti ipotizzò una risposta libica all’accordo.
- Strage di Bologna: Gotor sottolinea i rapporti strutturali tra Gheddafi e la galassia neofascista italiana dal 1969, elemento che rafforza — e non contraddice — la responsabilità neofascista stabilita dai tribunali. Centrale anche il ruolo di depistatore e finanziatore rivestito da Licio Gelli, punto di riferimento del cosiddetto “partito libico” in Italia.
- Ustica (27 giugno 1980): secondo l’inchiesta del magistrato Rosario Priore, Gheddafi fu il bersaglio mancato di un’azione di guerra aerea: il DC9 fu colpito per errore, aggiungendo un ulteriore tassello alla crisi italo-libica.
La destabilizzazione del fronte mediterraneo e la fine della solidarietà nazionale
Per Gotor, a partire dal 6 gennaio 1980 — giorno del delitto Mattarella — prende avvio un processo di destabilizzazione del Mediterraneo che si chiuderà solo nell’aprile 1982 con l’omicidio del segretario del PCI Pio La Torre. In quei due anni, viene meno il quadro internazionale che aveva consentito la strategia di solidarietà nazionale tra DC e PCI, nata dopo gli accordi di Helsinki e incarnata da Moro e Berlinguer.
«La strategia di Aldo Moro e quella di Enrico Berlinguer non poteva e non doveva avere eredi», ha concluso Gotor. L’omicidio di Piersanti Mattarella segna così l’inizio di una crisi profonda, in cui mafia, antistato, potenze straniere e tensioni geopolitiche convergono nel colpire il cuore della democrazia italiana.
