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Tutela del risparmio: manca la volontà politica o la cultura?

Periodicamente accadono episodi di “risparmio tradito” che coinvolgono migliaia di risparmiatori ed ogni volta torniamo a fare gli stessi discorsi e magari vengono fatti piccoli aggiustamenti nelle norme che non toccano la sostanza del problema.
Anche oggi, sui media, si invocano nuove norme. Un bravo giornalista del Sole 24 ore ha proposto, ad esempio, che tutti i prodotti finanziari abbiano una specie di semplice “scheda informativa” comune nella quale vengono indicate le principali caratteristiche dello strumento.
E’ chiaro che anche questa sarebbe una norma utile, ma non risolverebbe il problema.
Ciò che serve, in primo luogo, è fare un salto culturale. Dobbiamo comprendere che negli ultimi 20-25 anni la finanza è completamente cambiata e sono nati prodotti finanziari potenzialmente pericolosi per il singolo risparmiatore, ma anche per l’intera società, esattamente come i medicinali sono potenzialmente pericolosi. Il fatto che i medicinali debbano riportare tutta una serie di informazioni non li rende, per questo, acquistabili liberamente da chiunque.
Per poter avere una reale tutela degli investitori dobbiamo iniziare a capire che acquistare uno strumento finanziario è qualcosa che, nella maggior parte dei casi, richiede una competenza specifica, e se non si ha questa competenza semplicemente non si può fare, perché si può creare un danno a sé stessi ed alla società.
Dobbiamo iniziare a pensare agli strumenti finanziari come a prodotti che richiedono una particolare tutela, un particolare regime di commercializzazione come per i farmaci, i mezzi di trasporto, alcuni prodotti chimici, le armi, ecc. Non sono beni e servizi come tutti gli altri. Questo passaggio culturale non è ancora stato fatto a livello di conoscenza diffusa. Si continua a parlare dell’importanza dell’educazione finanziaria, di una maggiore trasparenza, ecc. Tutte cose sacrosante, sicuramente utili, ma che non risolvono il problema.
Nessuno proporrebbe, ad esempio, di vendere liberamente tutti i farmaci e “compensare” con una maggiore “educazione sanitaria”. E’ chiaro che più educazione sanitaria sarebbe certamente auspicabile ed utile, ma è anche chiaro che i farmaci devono essere prescritti da un medico, almeno quelli potenzialmente più pericolosi. Dobbiamo capire che lo stesso principio vale anche per i prodotti finanziari, almeno per i più rischiosi e complessi.
La vera tutela del risparmio, quella per la generalità dei risparmiatori, quindi, passa non attraverso un’informazione più chiara e più trasparente (ovviamente ben venga!) e neppure attraverso la così detta “educazione finanziaria”. Queste sono cose utili, ma possono tutelare solo una piccolissima fetta di investitori.
Per la maggioranza degli investitori è necessaria una normativa specifica per la commercializzazione la quale preveda che certi strumenti finanziari, semplicemente non si possano vendere agli investitori non preparati oppure non assistiti da liberi professionisti che garantiscono per loro.
Altre volte abbiamo fatto l’esempio dei mezzi di trasporto. Se voglio spostarmi con un mezzo a motore, sulle strade pubbliche, ho tre possibilità: prendo i mezzi pubblici, prendo un taxi oppure prendo la mia auto dopo aver dimostrato, con la patente, di saperla guidare.
Per gli strumenti finanziari ci dovrebbero essere le medesime tre opzioni.
I “mezzi pubblici” sono rappresentati da una serie di strumenti finanziari “semplici”, stabiliti dall’autorità di vigilanza che non prevedono fregature né rischi difficilmente comprensibili dall’investitore meno accorto. Strumenti come buoni postali fruttiferi, titoli di stato, conti di deposito, determinati fondi pensione e poco altro.
Se vuoi acquistare strumenti finanziari che prevedono dei rischi allora l’investitore dovrebbe avere due possibilità: o frequenta dei corsi di formazione (cioè “prende la patente”) oppure si fa guidare da un libero professionista (nel nostro esempio “prende un taxi”).
Se passasse una norma del genere non ci sarebbero più casi di risparmio tradito su vasta scala.
Il problema è che le banche vedrebbero una diminuzione dei propri ricavi nell’ordine di almeno una decina di miliardi all’anno in commissioni legate alla vendita di prodotti finanziari che servono a loro stesse e non ai clienti.
E’ evidente, quindi, che non potrà mai esserci una reale volontà politica, nell’immediato, perché – come abbiamo sperimentato anche recentemente in Parlamento con la costituzione del nuovo albo unico dei consulenti finanziari (1) – le lobby bancarie hanno molto più peso rispetto all’interesse dei risparmiatori. Ma prima di questo problema, che sicuramente impedirà una soluzione di questo genere ancora per molti anni, c’è un problema culturale.
La maggioranza delle persone, anche quelle intellettualmente oneste come il giornalista del Sole 24 ore di cui abbiamo scritto all’inizio di questo testo, non ha proprio compreso che è necessario fare, in questa materia, un salto culturale.
Fino a quando, culturalmente, non abbiamo compreso che gli strumenti finanziari non sono prodotti come tutti gli altri e che non può valere la logica di compravendita che vale per televisori, automobili, vestiti, corsi di formazione, libri, ecc. non risolveremo mai il problema in modo strutturale.
Gli strumenti finanziari – così come si sono sviluppati negli ultimi 20-25 anni – sono prodotti molto particolari che hanno due caratteristiche: 1) per poter essere scelti richiedono una competenza che non potrà mai essere alla portata della maggioranza delle persone, e 2) le conseguenze di una cattiva scelta possono essere potenzialmente molto gravi per l’individuo con ripercussioni gravi per l’intera società.
Queste caratteristiche fanno sì che la società deve prevedere norme particolari per la loro distribuzione che non possono, come è allo stato attuale, far semplicemente leva sulla trasparenza dell’informazione.
Il problema è che questa consapevolezza è ancora patrimonio di pochi. Quindi, se è vero che ancora non esiste una volontà politica per la tutela degli investitori, è anche vero (purtroppo) che a livello di consapevolezza culturale di ciò che sarebbe richiesto per una vera tutela del risparmio, siamo fortemente indietro.
Serviranno quindi decine di anni prima di arrivare ad una normativa realmente efficace per la tutela del risparmio. Ciò che possiamo fare nel frattempo sarebbe di iniziare a distribuire i semi di una diversa coscienza culturale. Dovrebbero essere proprio chi ha maggiore possibilità di influenzare l’opinione pubblica, in particolare – in questa fase – quella più colta, a far circolare questi concetti. Come in tutte le cose, la politica arriva quasi sempre per ultima. Non si può, seriamente, sperare che la politica anticipi.
Prima deve essere matura la società e poi può arrivare la politica.

Alessandro Pedone

responsabile Aduc per la Tutela del Risparmio

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