“L’arresto di Matteo Messina Denaro “non può che costituire una priorità assoluta ritenendosi che, nella situazione di difficoltà di Cosa Nostra, il venir meno anche di questo punto di riferimento, potrebbe costituire, anche in termini simbolici, così importanti in questi luoghi, un danno enorme per l’organizzazione”. E’ quanto si legge nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia, presentata al Senato dal procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti, e dal presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi.
Nella relazione si sottolinea più volte lo stato di difficoltà della mafia siciliana, e al contempo “la sua spaventosa vitalità: solo la costanza e la frequenza di efficaci azioni repressive è in grado di impedirle di riorganizzarsi e così vanificare gli sforzi fatti ed i risultati sin qui acquisiti dalle istituzioni”.
Le inchieste in corso “continuano a dare univocamente conto, in relazione alla vita interna dell’organizzazione mafiosa, dello sforzo perpetuo e spesso, purtroppo, proficuo per sopravvivere e riorganizzarsi con l’individuazione di sempre nuove figure di riferimento che, per quanto soggette ad un turnover talvolta serrato, in ragione delle vicissitudini giudiziarie, riescono comunque a garantire al sodalizio una continuità di azione criminale che si risolve, ancor oggi, in un serio vulnus per l’ordine sociale”.
Il centro di potere di Cosa Nostra continua a essere Palermo, anche se mancano personaggi carismatici e soprattutto apicali: “allo stato deve registrarsi una cooperazione di tipo orizzontale tra le famiglie mafiose della città di Palermo, volta a garantire la continuità della vita dell’organizzazione ed i suoi affari. In tal modo l’organizzazione mafiosa nel suo complesso sembra, in sintesi, aver attraversato e superato, sia pure non senza conseguenze sulla sua operatività, il difficile momento storico dovuto alla fruttuosa opera di contrasto dello Stato ed aver recuperato un suo equilibrio”. Per questo, sottolinea la relazione, “il fattore tempo, in questa materia, ha un’importanza determinante”.
Il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, si sofferma sul ruolo della Chiesa contro la mafia. “Poteva fare moltissimo, ma per decenni, per secoli -afferma- non ha fatto niente, è stata in silenzio“. Roberti ricorda che “Giovanni Paolo II non aveva neanche preparato quel bellissimo discorso che pronunciò nella Valle dei Templi” ma che lo improvvisò dopo aver incontrato familiari di vittime di mafia. “Poi il silenzio assoluto fino al 2009 quando si pronunciò la Conferenza Episcopale. Ora Papa Francesco– riconosce Roberti- parla apertamente di scomunica. Ma per decenni, secoli la Chiesa non ha fatto niente”, ribadisce.
“Le mafie sono pericolose perchè strumentalizzano le cose buone della vita come la famiglia, la fede -aggiunge Rosy Bindi-. Francesco ha pronunciato parole che rendono giustizia a don Diana e don Puglisi e all’esercito di persone che hanno saputo dire no alle mafie”, e questo “a fronte di un Cristianesimo che si è lasciato strumentalizzare dalle mafie. Per ricordare quello che diceva Giovanni Falcone ‘la mafia c’è e ci somiglia’: c’è una rimozione che si fa fatica ad ammettere -conclude- che il male è tra noi”.
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