Last updated on 17 gennaio 2021
Nei servizi di pubblica utilità, la possibilità di colmare il divario tra il Nord e il Sud passa necessariamente per un rilancio degli investimenti nelle società partecipate.
Il tema è stato oggi al centro all’Università “Aldo Moro” di Bari del Convegno “Servizi idrici e ambientali nel Mezzogiorno: proposte di sviluppo”, promosso da Utilitalia (la federazione delle imprese idriche, energetiche e ambientali), in occasione del quale sono stati presentati la ricerca di SVIMEZ sul ruolo dei servizi idrico-ambientali per lo sviluppo del Mezzogiorno e il “Rapporto Sud” curato dalla Fondazione Utilitatis.
E’ stato un momento di confronto particolarmente importante mentre è in discussione, nella Commissione Ambiente della Camera, la proposta di legge Daga che prevede un radicale riassetto dei servizi idrici; e in una fase in cui le norme europee impongono all’Italia di raggiungere in breve tempo target stringenti nel campo della gestione dei rifiuti.
Nelle 8 Regioni del Sud e delle Isole (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) sono 245 le aziende attive nel settore delle utilities. Rispetto al Nord, le imprese meridionali del settore sono troppo poche – 1,4 società ogni 100 mila abitanti, rispetto a una media nazionale di 3,2 – e il più delle volte sottodimensionate economicamente. Di conseguenza, la produzione di servizi di pubblica utilità al Sud, circa 201 euro per abitante, è meno di un quarto di quella del resto del Paese (972 euro). A una produzione troppo contenuta si affianca un livello troppo basso di investimenti, con poco più di 22 euro per abitante contro 124, sia pur con significative differenze a livello territoriale: in Puglia sono stati investiti in servizi di pubblica utilità 44,6 euro, oltre tre volte rispetto alla Campania (13,1).
Secondo le ricerche commissionate da Utilitalia a SVIMEZ e alla Fondazione Utilitatis, nel 2016 il comparto dei servizi di pubblica utilità ha generato al Sud un valore della produzione di oltre 4 miliardi di euro (l’1,1% del PIL del Mezzogiorno), realizzato investimenti pari a mezzo miliardo di euro e impiegato oltre 25 mila addetti. Eppure, se si realizzasse un miliardo di euro di investimenti aggiuntivi nel settore delle utilities (il doppio di quanto realizzato nel 2016), verrebbero generati un incremento di produzione permanente di 900 milioni di euro, con un PIL aggiuntivo di mezzo miliardo e 11.000 nuovi posti di lavoro. Ma vi è di più. In un’ottica temporale pluriennale, un investimento aggiuntivo di 5 miliardi determinerebbe effetti più che proporzionali rispetto a quelli prodotti con l’investimento di un solo miliardo, riducendo significativamente il gap con il Nord.
Nel Mezzogiorno, in sostanza, gli investimenti presentano una capacità di creare valore superiore ad altre aree del territorio nazionale, anche in termini più che proporzionali all’investimento stesso.
Nel settore idrico persistono numerose gestioni in economia e si registra una minore presenza di società partecipate (70% di abitanti serviti contro il 95%) rispetto al resto del Paese; sarebbe invece opportuna una normazione regionale ispirata ai principi dell’aggregazione, per superare le frammentazioni del servizio in una logica industriale. Le reti del Mezzogiorno registrano le perdite più alte d’Italia (51%, a fronte di una media nazionale del 41) e quanto alla depurazione, dei 1122 agglomerati in infrazione comunitaria, ben 761 hanno sede al Sud; le regioni con il più alto numero di infrazioni sono Sicilia, Calabria e Campania, territori dove il processo di consolidamento della governance è in forte ritardo, con un’elevata frammentazione gestionale e una diffusa presenza di gestioni in economia.
Il tutto costituisce un forte freno anche rispetto all’attuazione degli investimenti: il tasso si ferma al 53% contro una media nazionale del 75. Alcuni segnali positivi sembrano però emergere dalla più recente pianificazione, che prevede per il Mezzogiorno un investimento pro-capite superiore alla media nazionale: per il periodo 2016-2019 si prevede di investire 65 euro per abitante l’anno, a fronte dei 55 euro del Centro-Nord.
Analoghe problematiche, d’altronde, si registrano sul fronte dei servizi ambientali, con una percentuale di raccolta differenziata ferma al 42% (20 punti percentuali in meno rispetto al Nord), un eccessivo ricorso alla discarica (40% a fronte del 16 del Centro-Nord) e unadotazione impiantistica ancora insufficiente, che è alla base della dipendenza da altre regioni per soddisfare il bisogno di trattamento.
Tutto ciò determina tariffe per i cittadini superiori rispetto al resto del Paese, con un aggravio di spesa che arriva a 70 euro l’anno per famiglia. Dal punto di vista gestionale, è evidente la scarsa presenza di società a controllo pubblico: 2 abitanti su 3 sono serviti da società private – e per alcune fasi del ciclo, ancora direttamente dai comuni – e la maggior parte dei rifiuti viene trattata in impianti privati.
Per Nicola De Sanctis, presidente della commissione Mezzogiorno di Utilitalia e amministratore delegato di Acquedotto pugliese, “il settore idrico e il settore ambientale rappresentano un’opportunità vera di crescita per il territorio. Esistono dei gap infrastrutturali e occorre dire che le regioni del Mezzogiorno negli ultimi anni si sono allineate alla crescita del resto d’Italia. Esistono comunque delle differenze rilevanti tra i vari territori. In questo senso la Puglia è partita molto forte e già l’anno scorso l’Acquedotto pugliese ha chiuso con 36 euro ad abitante di investimento, una cifra molto vicina alle migliori utility del Nord. Per fare nuovi investimenti c’è bisogno di alcune ricette importanti. Occorrono innanzitutto operatori rilevanti, che abbiano le capacità di gestire le complessità del ciclo degli investimenti e l’articolazione del servizio ai cittadini nei suoi molteplici aspetti. Le aziende e in particolare quelle di dimensioni minori devono rafforzarsi, e noi come Utilitalia stiamo lavorando insieme per progetti concreti di sviluppo. Gli investimenti infrastrutturali hanno la caratteristica di essere di medio-lungo termine. Dal momento in cui si pensa un’opera, occorre ottenere tutte le autorizzazioni, poi fare la progettazione esecutiva, quindi le gare e infine realizzarla. Sono cicli che richiedono anche numerosi anni e quindi occorre perseverare per raggiungere gli obiettivi”. Per quanto riguarda la depurazione delle acque, “la Puglia è andata molto bene, sono stati fatti investimenti enormi e la rete dei depuratori è molto forte: sono state affrontate le criticità e la regione rappresenta oggi un caso davvero positivo. Gli investimenti sono e saranno forti e noi completiamo il ciclo e affiniamo l’acqua per il riuso finale. Anche sotto il profilo ambientale, quindi, i progressi che sono stati fatti sono notevoli”.
Per Stefano Besseghini, presidente dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA), “il ruolo della regolazione è quello di dare un segnale di stabilità e coerenza che si sottrae ai cicli della politica, e può dare un contributo anche nel colmare il gap Nord-Sud ancora esistente nel settore dei servizi idrici e dell’ambiente. Allo stesso modo può rispondere alle necessità di cooperazione tra tariffa e investimenti pubblici, adeguandosi in modo flessibile, anche con meccanismi rispettosi delle specificità territoriali, per risolvere temi come quelli ancora presenti nel Mezzogiorno o per supportare temi strategici come quello dell’innovazione”.
Adolfo Spaziani, senior advisor di Utilitalia, ha infine invitato a “riflettere sui dati e non su principi ideologici. Se l’economia va nella direzione che sembra e il mondo ha problemi climatici da affrontare, rischiamo di sbagliare direzione se polverizziamo le nostre forze. Abbiamo una differenza sostanziale tra aree agiate dell’Italia e zone in difficoltà. Gli investimenti attraverso i servizi pubblici, tutti i servizi pubblici, hanno un effetto moltiplicatore più alto che in altre zone del Paese. Con questo studio, come aziende, abbiamo fatto la nostra parte, abbiamo messo a disposizione del governo e del legislatore i numeri dei settori dell’acqua e dell’ambiente e l’analisi ragionata di questi stessi dati. Insieme alle tante posizioni espresse e ai documenti depositati nelle audizioni alla Commissione Ambiente della Camera, ora non mancano gli elementi necessari per prendere decisioni ponderate”.
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