POLIZZI GENEROSA (PALERMO) – «La tua cara figlia la moglie del sindacalista antimafia ha deciso di restare vedova giovane come te. A poco a poco gli faremo passare le pene dell’inferno, così finisce di parlare assai. E non finisce qua per la bella famiglia, non vivrete più». E’ il testo della lettera che ignoti hanno inviato alla madre della moglie del sindacalista della Cgil Vincenzo Liarda di Polizzi Generosa in provincia di Palermo. Liarda, ormai senza scorta e senza tutela, ha subito oltre 30 intimidazioni da quando ha avviato la battaglia per la destinazione a fini sociali del feudo di Verbumcaudo che appartenne a Michele Greco, il Papa di Cosa nostra. Una battaglia vinta grazie alla quale sono stati accesi i riflettori anche sul Comune di Polizzi Generosa che è stato poi sciolto per infiltrazione mafiosa.
E’ un messaggio inquietante, l’ennesimo, quello è stato recapitato ai familiari di Liarda che ha un obiettivo preciso: quello di farlo andare via da Polizzi, dalle Madonie dove lui è segretario della Camera del lavoro. Ed è ancora più inquietante perché oggi Liarda appare più isolato che mai: solo la Cgil ha fatto un comunicato. Per il resto nulla, soprattutto dal territorio che sembra essersi assuefatto al clima di intimidazione mafiosa che colpisce il sindacalista costantemente: c’è la sensazione che il tessuto sociale individui in Liarda il nemico, il fastidio da eliminare e trascuri il clima mafioso e spesso omertoso di questa area della provincia di Palermo. Siamo al confine con la provincia di Caltanissetta, con il Vallone, con un’area geografica che è stata culla di Cosa nostra e continua ad avere un’importanza strategica fondamentale anche nelle strategie di rinnovamento del business criminale eppure un sindacalista, erede della grande tradizione sindacale di lotta contro la mafia, vive in completo isolamento e rischia di soccombere di fronte all’assuefazione della società civile. «Polizzi – spiega Liarda – è la punta di un iceberg del sistema madonita. Un sistema che evidentemente sta bene a tutti».
Questo ennesimo atto di intimidazione, dice, «mi lascia dentro tanta amarezza. Hanno deciso di non farmi vivere e lo fanno colpendomi negli affetti, colpendo la mia famiglia puntando a creare situazioni di tensione all’interno del mio nucleo familiare». E ancora una volta questa storia rischia di essere il paradigma di ciò che accade: la mafia non spara più prova ad annientarti isolandoti, facendoti apparire un folle. Era da giugno che a casa Liarda non arrivavano messaggi ma la situazione non è mai stata tranquilla: battute, dicerie, calunnie sono all’ordine del giorno. «In quasi quattro anni da quando è cominciata la battaglia per l’affermazione della legalità – dice Liarda – mi hanno fatto danni incalcolabili. E non parlo solo di quelli materiali (mi hanno bruciato la macchina, la casa) ma di altro. Qualcuno riesce a immaginare o pensare cosa significa per una famiglia tutto questo?»
La tentazione di andarsene è ormai forte pur sapendo che andare via significa darla vinta ai criminali, rafforzare la mafia, far passare il messaggio che non è consentito a nessuno mettersi contro Cosa nostra. «Questa situazione è diventata la normalità – chiude amareggiato Liarda -. Non fa notizia, non interessa nessuno. La politica è assente: si occupa di altre cose e non dei problemi dei cittadini. Io non ho chiesto niente ma così stanno minando i miei affetti, la mia famiglia. E non credo di meritarmelo».
Mafia, la società civile madonita lascia solo il sindacalista scomodo minacciato
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